venerdì 26 febbraio 2010

Plan de Corones

3° puntata: Plan de Corones

il panorama dalla cima

La storia ciclistica di Plan de Corones è recente e senza grandi racconti su cui soffermarsi. Misura 2275 metri sul livello del mare e sarà proposta come cronoscalata al prossimo Giro d’Italia.
La salita viene valutata da San Vigilio di Marebbe, nonostante ci siano leggere pendenze anche nei quattro chilometri precedenti. Prima di raggiungere Plan de Corones, bisogna scalare un primo passo, il Furcia, lungo dodici chilometri e che prevede tratti duri (8-11%) soprattutto negli ultimi quattromila metri.
Raggiunto il Furcia si imbocca il bivio per Plan de Corones, distante oltre cinque chilometri nei quali troveremo di tutto, dallo sterrato alle pendenze più aspre. E’ una via crucis dagli effetti collaterali, alternando momenti al 12% ad altri al 10%, con un chilometro ristoratore di falsopiano al tre percento, prima di affrontare la curva a gomito che proietterà gli atleti nel famoso muro finale. La strada sterrata non sarà di aiuto quando le pendenze si impenneranno al 14,8% medio, dove possiamo trovare momenti terribili al 24% e 22%. Gli amatori rischiano di fare le impennate e ritrovarsi fermi a ripetizione, i professionisti di basso livello vanno su discretamente tentando di salvarsi mentre i big, beh quelli con notevoli sforzi riescono a tenere ritmi impensabili per chiunque.
La panoramica dalla vetta è fantastica, apre la visuale ad una vallata ricoperta di boschi e valli d’or con un piccolo pensiero alla non troppo lontana Marmolada.
Scoperta recentemente in ambito ciclistico, fu proposta per la prima volta nel 2006 come arrivo di tappa ma il 24 maggio di quell’anno ci furono condizioni meteorologiche a dir poco avverse, temperature sullo zero e soprattutto una neve che riporta ad un Bondone d’altri tempi.
Ridimensionata l’altimetria, la tappa fu ridotta a centoventi chilometri saltando sia Passo delle Erbe che Corones, collocando l’arrivo sul più accessibile Furcia vinto da Piepoli in compagnia di Basso.
Due anni più tardi, precisamente il 26 maggio del 2008, Plan de Corones può finalmente fare il suo esordio. Sarà una cronoscalata di 13 km in una giornata nuvolosa ma tiepida.
Ecco i tempi dei più forti:

Franco Pellizotti 40’26”
Emanuele Sella 40’32”
Gilberto Simoni 40’43”
Alberto Contador 40’48”
Riccardo Riccò 40’56”
Josè Rujano 41’15”
Marzio Bruseghin 41’30”
Domenico Pozzovivo 42’09”
Danilo Di Luca 42’11”
Denis Menchov 42’15”

Quest’anno la cronoscalata è identica a quella del ’08, cambia solo la data, 25 Maggio.
Una salita dai 1268 metri di dislivello, 7.5% di pendenza media contando il Furcia e falsipiani precedenti e successivi a S.Vigilio di Marebbe: Pellizotti è già intento a preparare un clamoroso quanto probabile (ma anche no) bis. Tra i corridori in forma, non dovrebbero esserci distacchi abissali, ma due anni fa gente come Menchov e Di Luca persero quasi due minuti, motivo per cui va sfruttata l’occasione per l’assalto alla maglia rosa, di certo già condizionata dalla tappa precedente che termina sullo Zoncolan. Non si decide nulla ma qualcosa di importante potrebbe accadere.

Verso la primavera

Il mese più corto sta finendo, portandosi via il gelo dell’Inverno, dando libero sfogo ad un’aria gradevole e che strizza l’occhio a quella che sarà la primavera.
Il ricordo va diritto all’inizio del mese, ad un Treviso già sprovvisto di neve e ad un termometro più accessibile rispetto alle strade situate più a nord. I primi strappi dalle pendenze dolci, che attorniano Asolo, nome importante per la prossima corsa rosa, sono stati l'assaggio prelibato per delle gambe arrugginite che ripartivano in quel dato momento. Villa del Barbaro, Maser, Valdobbiadene, tanto per citare alcuni punti di riferimento del percorso in una giornata soleggiata ma dal sapore amaro dopo la morte del ct della nazionale italiana Franco Ballerini.
Passa una settimana per essere di nuovo in sella, questa volta sulle strade di casa, insidiose per via della sabbia a bordo strada, in un percorso dapprima pianeggiante ma con un finale abbastanza aspro. Le prime pendenze serie, la neve nascosta sotto gli alberi, un’aria fredda e un sole che se ne è andato negli ultimissimi chilometri, ha caratterizzato una giornata nella quale non è mancato un piccolo quanto semplice ricordo a chi non c’è più.
I giorni passano, le temperature mutano, i cavalcavia appaiono più duri di quel che sono, il fiato manca, come del resto le gambe. Viene poi la volta di visitare, per quel che mi riguarda, posti nuovi, ma non di fama: le scale di Primolano laddove Coppi rovinò a terrà in un ciclismo d’altri tempi.
Posti desolati e malinconici, se visti in una stagione morta ma che si appresta all’imminente risveglio. I chilometri aumentano di uscita in uscita, ma non i numeri decreteranno qualcosa, come nemmeno un cronometro (...), che pochi giorni addietro mi ha fatto notare di essere molto lontano dai tempi migliori. O forse sto pedalando in modo più tranquillo e disinteressato rispetto alla foga, rabbia ed entusiasmo dell’adolescenza passata.
La poca neve rimasta va sciogliendosi in ogni dove, nell’aria si percepisce che la primavera non è poi così lontana come si vorrebbe far credere.
Il mese del vento sta arrivando e con se porta aria nuova. Sarà una stagione incostante per diversi motivi, difficilmente troverò il giusto tempo da dedicare a questo splendido hobby che è il cicloturismo. Ma il divertimento sarà sempre mio compagno di viaggio, a braccetto con la fatica che ripaga qualunque persona l’abbia provata e infine scavalcata.
Per il ciclismo pane, burro e marmellata, ci si risente in un futuro prossimo, mentre il caldo appare dietro l’angolo, le asperità over ottocento metri accolgono sorridenti chi vuole osare.

lunedì 22 febbraio 2010

Monte Zoncolan

2° puntata: Monte Zoncolan


Il Monte Zoncolan sarà il secondo arrivo in salita del Giro d’Italia. Stiamo parlando di una delle salite più dure in assoluto e che da sette anni è entrata a far parte della storia del Giro d’Italia. Montagna della Carnia, friulana, alta 1730 metri, raggiungibile dalle località di Ovaro, Sutrio e Priola.
La storia ciclistica di questa asperità è agli albori visto e considerato che l’esordio è datato 24 Maggio 2003, anno in cui, guarda a caso, si arrivava anche sul Terminillo. Coincidenze che fanno apparire quell’edizione simile a quella odierna.
Nel 2003 lo Zoncolan fu affrontato da Sutrio, il versante meno ostico ma che lasciò un bel segno. Questo versante sarebbe il più lungo, ma i primi undici chilometri non sono estremamente selettivi, le pendenze spaziano dal 5% al 13% senza costanza, aiutate da ben dieci tornanti ristoratori. Come è ristoratore il tratto di falsopiano che anticipa il rifugio Moro. Passato il rif. cominciano gli ultimi 3300 metri, a dir poco sfiancanti.
La strada si restringe e le pendenze non vanno mai sotto l’11,5 %, toccando picchi anche al 22%. Ed è proprio in quegli ultimi chilometri che nel 2003 si decise la corsa. Lo scatto della maglia rosa Gilberto Simoni provocò lo sgretolamento dell’intero gruppo ancora forte di molte unità. Sembrava che il trentino potesse fare il vuoto ma da dietro successe qualcosa di inaspettato. Garzelli continuò del suo passo, Casagrande cercò di tenere duro ma fu soprattutto Marco Pantani a recuperare terreno dopo una prima debacle. Il pirata rientrò su Garzelli e spalleggiandolo cercò di rinascere dalle proprie ceneri. I tifosi esplosero, sembrò di tornare indietro di quattro anni, prima che quel corridore si perdesse negli oscuri meandri della vita.
Per Simoni fu vittoria facile, ma sul traguardo riuscì a stento ad esultare e ammise con aria affaticata che quelle non erano pendenze consone nemmeno ad atleti professionisti. Secondo scollinò Garzelli a 34”, quindi Casagrande 39” e Popovych 42”. Nel finale a cedere fu soprattutto Pantani, arrivato appena dietro a Popovych ma soddisfatto di essere tornato a livelli perlomeno discreti. Fu una delle sue ultime giornate di grazia prima di andarsene.
Ma se nel 2003 lo Zoncolan era stato affrontato dalla parte più facile, quattro anni più tardi viene proposto dalla parte più ostica. Da Ovaro è un vero e proprio muro, apparte i primi due chilometri abbastanza pedalabili, i restanti sono a dir poco estremi, non solo per le pendenze ma soprattutto per la lunghezza e la continuità.
Nel 2007 la tappa fu disegnata male, corta e senza insidie, consentendo a gente come Petacchi di iniziare l’ascesa finale con il gruppo maglia rosa.
Ad inizio salita la Liquigas fece un’andatura non da poco facendo fuori Mazzoleni e il giovane Riccò. Ai meno sei dall’arrivo arrivò l’attacco di Gilberto Simoni e per il leader di classifica Di Luca cominciarono i dolori. A riportarsi sul trentino furono il compagno di team Piepoli e quel ragazzo prodigio che risponde al nome di Andy Schleck. Il terzetto proseguì fino all’arrivo dove il duo Sounier Duval staccò Schleck. Piepoli lasciò la vittoria al capitano Simoni cosa rivista un anno dopo al Tour quando ad Hautcam, Cobo Acebo (se non sbaglio), lasciò la vittoria a Piepoli.
Lo Zoncolan è un’asperità dalle caratteristiche uniche, anche se le pendenze troppo elevate non sempre sono sinonimo di grandi distacchi. I rapporti da usare saranno ad occhio e croce 34x27, 38x29, 36x29 a seconda delle caratteristiche/velleità/esigenze.
D’altra parte, siamo davanti a pendenze che rimangono impassibili dal 11 al 20% per almeno sei chilometri, “spianando” solamente negli ultimi due dove possiamo trovare brevi tratti al 6/7%, prima di ritornare a superare il 10% negli ultimissimi metri.
1210 m. di dislivello in appena dieci chilometri con una pendenza media dell’undici e mezzo percento. Secondo molti lo Zoncolan è un po’ più duro del Mortirolo ma credo che sia difficile fare paragoni davanti a certi estremi.
Sarà una giornata da grimpeur, benedetto chi sarà in palla, un po’ meno chi vivrà una giornata offuscata. La “Montagna Simoni” è lì che aspetta, come uno stadio pronto a scatenarsi all’ingresso dei gladiatori.

mercoledì 17 febbraio 2010

L'uso del casco

nella foto: Voigt a terra, salvo grazie al casco


Prendo la palla al balzo lanciata da Manuel per quanto riguarda il discorso del casco. Il confine tra la vita e la morte non va sottovalutato e l’esempio dovrebbe essere dato prima di tutto dai professionisti. La situazione rispetto a vari anni fa è migliorata, ormai il casco è diventato obbligatorio non solo nelle corse professionistiche ma anche per quanto riguarda le graduatorie minori sino ai semplici circuiti della domenica o le gran fondo. Ma una gran fondo, come un circuito, sono eventi della durata di qualche ora e dietro a ciò ci stanno millanta ore di uscite dove, ahinoi, molti si dimenticano di quel indispensabile accessorio salva vita. Il casco non deve essere una forzatura, non va messo solo quando il regolamento lo prevede, va messo sempre, anche quando si pedala per un semplice quarto d’ora. Dalla bici si può cadere in qualunque momento e sbattere la testa su un marciapiede o su un cancello di ferro non è cosa così rara, anzi.
Ritenuto da molti antiestetico, sostituito da inutili berrettini, bandane e quant’altro, lo troviamo riposto nell’armadio per mesi, prima che faccia la sua comparsa nella testa di chi sta per accingersi alla partenza di una competizione. Insegnare ai più piccoli, prima di tutto, a portarlo perché l’esempio con cui sono cresciute le generazioni precedenti non è il massimo della vita. Chi non si ricorda le volate senza casco di vent’anni fa e chi non si ricorda quante volte è stato utile quando ciclisti di spicco sono finiti col viso sull’asfalto?! Un esempio poco menzionato è quello di Chris Boardman, cronoman inglese che nel 1998, dopo aver vinto per l’ennesima volta il cronoprologo di apertura della Grand Boucle, finì a terra nella seconda frazione fratturandosi lo zigomo e procurandosi una commozione cerebrale: indossava il casco. Possiamo immaginarci come sarebbe finita se non avesse indossato quella manna dal cielo che salva molti ciclisti da una stupidissima ed evitabile fine.
Indossatelo, grandi, vecchi, bambini. Non crediate che la fortuna sia sempre dalla vostra, basta davvero poco per lasciarci le penne.

domenica 14 febbraio 2010

San Valentino, le rose e...

Riconobbe quel rumore e si voltò. Stava andando senza fretta verso gli scogli, con la canna su una spalla e lo zaino nell'altra, e quel bambino con la bicicletta sembrava andare nella sua stessa direzione. Era un giorno fresco, di quelle che l'estate ti fa capire che è finita e apre le porte a un timido autunno. Intorno, non c'era nessuno, gli ultimi turisti erano ripartiti con la nave della domenica e all'improvviso sull'isola era calato un grande silenzio. Accadeva così ogni anno, ma per la gente del posto, era quasi una benedizione, dopo il frastuono di luglio e l'invasione di agosto. Il tempo di spazzare le cartacce e raccogliere le cicche sulla spiaggia, poi di quel frastuono non ci sarebbe stata più traccia fino all'anno successivo.
Lui aveva smesso da un pezzo di farsene coinvolgere. Viveva nella sua casetta ai margini del villaggio e non faceva mai nulla per incontrare gente. Qualcuno diceva che fosse pazzo, i più pensavano che nascondesse un segreto. Lo salutavano e lui ricambiava con quel suo strano accento. Portava al mercato ciò che pescava e lo scambiava con ciò di cui aveva bisogno, ma quel giorno si era svegliato tardi e la pesca sarebbe stata probabilmente modesta. Poco male, aveva pensato uscendo di casa.
I rumori del paese rimasero presto oltre il promontorio, l'unica traccia della presenza umana da quella parte dell'isola erano le poche baracche dei pescatori a strapiompo sul mare. Il bambino lo affiancò, rallentò e lo fissò accigliato.
Il vecchio si fermò a sua volta e lo guardò divertito. Pensò che evidentemente non tutti erano ripartiti e che forse i suoi genitori avevano preferito godersi un pò di quiete prima di rituffarsi nel lavoro. La prossima nave sarebbe partita soltanto mercoledì.
Sembrava un piccolo campione, con quelle gambette secche e piene di graffi gli mise addosso una gran tenerezza. Teneva le mani sul manubrio ricurvo con l'impeto di un rematore. La bicicletta rossa era decisamente grande e anche la maglia gli cadeva sui fianchi troppo abbondante per essere la sua. Il casco era di traverso sulla fronte impolverata e rigata dal sudore. Un piccolo guerriero, pensò il vecchio. E poi gli chiese cosa volesse.
"Lo sai" gli disse "che sono stato in cima alla montagna e non sono mai sceso dalla bici?".
Il vecchio lo guardò e sollevando il mento gli fece capire che la cosa non gli faceva nè caldo nè freddo. E allora?
"Se lo scopre mio padre" continuò il bambino per nulla in soggezione "di sicuro mi sgrida, perchè dice che sono troppo piccolo per fare certi sforzi. Questa bicicletta è sua, ma lui non la usa più e così mi permette di prenderla. Dice la mamma che una volta ne era così geloso che guai anche solo toccargliela. Poi però gli è passata la voglia e adesso ha messo su pancia".
Il vecchio pensò che quel giorno non avrebbe pescato neppure per mangiare. Ma l'incontro lo divertiva e così gli fece cenno di avvicinarsi a un grosso masso sul ciglio della strada e sbuffando ci si sedette sopra.
"Perchè mi racconti queste cose? Che cosa vuoi?".
Il bambino lo guardò e per un istante ebbe paura. Abbassò lo sguardo e poi lo rialzò. Aveva gli occhi scuri e curiosi, i capelli biondi e ribelli. Il timbro di voce era ancora sottile, ma deciso. Prese il sorriso del vecchio come un invito a continuare. Si scosse e ricominciò a parlare.
"Lo sai che ad andare sulla montagna c'è un pezzo di strada così ripido che l'ombra ti resta indietro?".
Il vecchio capì cosa volesse dire. Immaginò la scena e fece cenno di si col capo, ricordando quella rampa subito fuori dal paese su cui i motorini dei turisti spesso si impuntavano e non andavano più avanti. Allora lo guardò ammirato e gli disse che se davvero era andato fin lassù senza scendere, significava che era stato proprio bravo.

Vide il bambino gonfiarsi d'orgoglio e si chiese ancora una volta perchè lo avesse raccontato proprio a lui. Di solito i bambini lo evitavano e forse un pò avevano paura, ma questo sembrava diverso. E mentre pensava e sorrideva, il bambino prese fiato e continuò a parlare.
"Dove abito io" disse "non è così".
"Così come?"
"Tranquillo. C'è un gran baccano là in città. Le macchine. Gli aerei. I giornali. La gente. La gente è cattiva, lo sai? Si corre sempre, non si parla più. Qui è meglio. Si può pescare, si può andare in bici, ma si può stare anche tutto il giorno a guardare il mare. Da grande vengo a viverci".

Il vecchio lo fissò e nei suoi occhi passò il film di una vita. Cercò di non guardarsi troppo dentro. Si passò la canna da una mano all'altra, poi sollevò lo sguardo verso l'orizzonte e in lontananza vide la sagoma di una barchetta che arrancava contro la corrente in direzione del porto. Sorrise, ma il bambino vide l'ombra nei suoi occhi.
"Tu chi sei?"
"Sono un pescatore" gli disse, "un pover'uomo. Non dovresti neanche star qui a parlare con me. Cosa ne sai se sono una brava persona?"
Il bambino non battè ciglio e continuò a guardarlo fisso in volto, poi d'improvviso la voce prese a tremargli e allora strinse più forte sul manubrio.
"Tu mi somigli"
Il vecchio smise di sorridere. Si innervosì, ma cercò di non darlo a vedere.
"Somiglio a chi? Non sai neanche chi sono. Somiglio a chi?"
Il bambino rimase per un secondo in silenzio, incerto se andare avanti o fermarsi. Ma ormai c'era arrivato e tanto valeva continuare.
"Somigli a Pantani, sai quel campione di ciclismo... Ho la sua foto in camera mia e tu gli somigli. Mio padre mi ha chiamato Marco in suo onore. Ti ho visto l'altra settimana, ti avevo già visto l'anno scorso. Volevo dirtelo, tu gli somogli..."
Il vecchio tacque e il suo silenzio parve lungo come il tempo, poi si avvicinò e con il dito gli fece cenno di avvicinarsi a sua volta. Aveva tolto il cappello e lo stringeva tra le mani. I pochi capelli erano in balia del vento, ma d'improvviso gli occhi si erano messi a scintillare. Chinò il capo, guardò la polvere sulla punta delle scarpe, poi gli poggiò una mano sulla spalluccia magra, lo guardò fisso e il bambino ebbe un sussulto.
Strinse con la mano il manubrio e si chinò ancora.
"Pantani" bisbigliò il vecchio, "lo so bene chi è Pantani. Ma è morto tanto tempo fa. Quanti anni hai, undici?"
"Tredici", rispose orgoglioso, "tredici già compiuti".
"Undici, tredici, fa lo stesso. Non eri neanche nato. Se avessi letto i giornali, sapresti che è morto. Buttala via quella foto, Pantani è morto tanto tempo fa. Io sono Marco, sono il vecchio pirata pelato di cui non importa niente a nessuno".
Il bambino lo fissò con gli occhi pieni di lacrime. Provò a parlare ma gli uscì un mezzo singhiozzo. Lo guardò fisso con i brividi nelle gambe. Il vecchio si alzò, tirò un sospiro e gli poggiò la mano sul casco. Poi gliela battè sulla spalla in un gesto di affetto e complicità. "Vattene adesso" gli disse con dolcezza, "devo andare a pescare".

Il bambino lo guardò dal basso e gli sembrò altissimo, con il sole alle spalle che rendeva la sagoma nera e ancora più potente. "Sei tu".

Il vecchio rimase impassibile. Il bambino lo abbracciò. Avrebbe voluto chiedergli, sapere, restare lì in eterno, ma gli disse solo ciao. Tirò su col naso, poi salì in sella. "Vattene" ripetè il vecchio.

Il bambino fece cenno di si e non si curò più di nascondere le lacrime. Lo abbracciò di slancio e poi veloce si ritrasse. Voltò la bici e prese la via del paese. Il vecchio lo vide allontanarsi con le gambette magre che spingevano poco convinte e ricominciò a camminare. Aveva rimesso il cappello in testa e la canna sulla spalla. Il bimbo non vide che anche il vecchio piangeva. Pantani era morto, Marco era ancora vivo. Il bimbo cacciò un urlo che fece scappare i gabbiani. Smise di piangere, iniziò a ridere e a spingere forte sui pedali. Il sole era ormai alto, il vento si era posato. Si voltò ancora. Quella fu l'ultima volta che lo vide.

Era mio figlio
Tonina Pantani ed Enzo Vicennati

lunedì 8 febbraio 2010

sabato 6 febbraio 2010

Monte Terminillo (Mons Tetricus)

1° puntata: Monte Terminillo


Il primo arrivo in salita del prossimo Giro d’Italia sarà situato sul Monte Terminillo (o Mons Tretricus), asperità lunga e selettiva, che creerà una prima panoramica della classifica generale. Il 16 Maggio non è poi così lontano, la tappa sarà di 189 chilometri e lascerà sicuramente il segno.
Ma quali sono le origini ciclistiche del Terminillo? Fu prima di tutto “lanciato” da Benito Mussolini, il quale non perse tempo nel dare ordine di costruire la strada che da Rieti s’inerpica lungo il colle. Da qui le promozioni pubblicitarie usando il palcoscenico del Giro d’Italia.
Fu ideata la cronoscalata Rieti-Terminillo che diventò un rituale della corsa rosa dal ’36 al ’39. Primo vincitore fu Olmo ma erano gli anni di Bartali il quale vinse la cronoscalata l’anno successivo portandosi a casa anche la prestigiosa maglia di leader. Nel trentotto e trentanove, anticipando l’ascesa al trono di Coppi, a fare la voce grossa fu Giovanni Valetti, vincitore di quelle due edizioni. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quella che per alcuni anni era divenuta una salita importante per la manifestazione ciclistica italiana, perse lustro tracollando nell’oblio più completo.
Fu ripresa negli anni sessanta come semplice abbellimento di frazioni che si concludevano a Rieti, prima di vivere altri sedici anni di digiuno. Ricomparsa nel settantotto e successivamente nel ’81 e ’86, ritornò finalmente come arrivo in salita solo l’anno successivo quando a vincere fu Jean Claude Bagot, nella stagione del Roche cannibale.
Di passaggio nel ’91, è di nuovo arrivo nel 1992, quando Luis Herrera diede l’ultima zampata da leone prima di appendere la bici al chiodo.
Ritroviamo il Terminillo nell’edizione del 1997: Pavel Tonkov vive una prima settimana da urlo, vince la cronometro di San Marino e due giorni più tardi, nella quinta tappa con arrivo sul Mons Tetricus, si ritrova vestito di rosa ma stretto nella morsa del trio Leblanc, Pantani, Gotti.
Tre ossi duri ma alla fine, il cosacco dell’armata rossa ha la meglio e porta a casa la seconda vittoria di tappa, in un’edizione che lo vedrà secondo a Milano alle spalle di quel Gotti capace di riportare in Italia un Giro che per cinque anni era stato dominato dalle compagini straniere.
Sei anni più tardi sarà la volta di Stefano Garzelli, ritornato da un periodo di stop causa doping, riesce a correre una prima parte di Giro da padrone, basti pensare che quattro giorni prima aveva già esultato alle Terme Luigiane.
Ma sul Terminillo, Garzelli eccede, non si fa intimorire dal ritmo forsennato imposto dalla Saeco di Simoni e quando quest’ultimo accenna l’attacco è lo stesso Garzelli a rispondere e tenere testa al trentino sino all’arrivo, dove, come da pronostico, lo brucia. Per Stefano, la maglia rosa durerà solo due giorni, ma vivrà una sorta di rinascita terminando secondo nella classifica finale dominata da Simoni.
A tre anni dall’ultimo fuggiasco passaggio, siamo qui ad aspettare di nuovo un degno arrivo su un monte che non è mai passato inosservato per quanto concerne la classifica finale. C’è da dire che dal dopoguerra ad oggi, chi ha vinto sul Terminillo ha poi perso il Giro e questo potrebbe accadere anche quest’anno, essendo la prima tappa importante, sarà determinante ma al tempo stesso una bella lotteria e non è detto che vengano a crearsi distacchi abissali. E’ sicuramente l’occasione adatta per Pellizotti, il delfino di Bibione non credo si farà molti scrupoli a staccare gli avversi e soprattutto l’Avversario (Basso). Attenti a Sastre, anche se quest’ultimo lo vedo meglio sulle Alpi ed un occhio di riguardo lo riserviamo anche a quel Riccardo Riccò che ha dalla sua le caratteristiche giuste per papparsi molte tappe del Giro, non ultima quella del Terminillo. Basso ed Evans dovranno soprattutto marcare a uomo, di sicuro non potranno vincere una fantomatica volata a ranghi ristretti, a loro basterà scremare il gruppo e pregare di avere la gamba adatta per rimanere da soli prima dell’ultimo chilometro. Cosa non facile in una salita come questa.