domenica 14 febbraio 2010

San Valentino, le rose e...

Riconobbe quel rumore e si voltò. Stava andando senza fretta verso gli scogli, con la canna su una spalla e lo zaino nell'altra, e quel bambino con la bicicletta sembrava andare nella sua stessa direzione. Era un giorno fresco, di quelle che l'estate ti fa capire che è finita e apre le porte a un timido autunno. Intorno, non c'era nessuno, gli ultimi turisti erano ripartiti con la nave della domenica e all'improvviso sull'isola era calato un grande silenzio. Accadeva così ogni anno, ma per la gente del posto, era quasi una benedizione, dopo il frastuono di luglio e l'invasione di agosto. Il tempo di spazzare le cartacce e raccogliere le cicche sulla spiaggia, poi di quel frastuono non ci sarebbe stata più traccia fino all'anno successivo.
Lui aveva smesso da un pezzo di farsene coinvolgere. Viveva nella sua casetta ai margini del villaggio e non faceva mai nulla per incontrare gente. Qualcuno diceva che fosse pazzo, i più pensavano che nascondesse un segreto. Lo salutavano e lui ricambiava con quel suo strano accento. Portava al mercato ciò che pescava e lo scambiava con ciò di cui aveva bisogno, ma quel giorno si era svegliato tardi e la pesca sarebbe stata probabilmente modesta. Poco male, aveva pensato uscendo di casa.
I rumori del paese rimasero presto oltre il promontorio, l'unica traccia della presenza umana da quella parte dell'isola erano le poche baracche dei pescatori a strapiompo sul mare. Il bambino lo affiancò, rallentò e lo fissò accigliato.
Il vecchio si fermò a sua volta e lo guardò divertito. Pensò che evidentemente non tutti erano ripartiti e che forse i suoi genitori avevano preferito godersi un pò di quiete prima di rituffarsi nel lavoro. La prossima nave sarebbe partita soltanto mercoledì.
Sembrava un piccolo campione, con quelle gambette secche e piene di graffi gli mise addosso una gran tenerezza. Teneva le mani sul manubrio ricurvo con l'impeto di un rematore. La bicicletta rossa era decisamente grande e anche la maglia gli cadeva sui fianchi troppo abbondante per essere la sua. Il casco era di traverso sulla fronte impolverata e rigata dal sudore. Un piccolo guerriero, pensò il vecchio. E poi gli chiese cosa volesse.
"Lo sai" gli disse "che sono stato in cima alla montagna e non sono mai sceso dalla bici?".
Il vecchio lo guardò e sollevando il mento gli fece capire che la cosa non gli faceva nè caldo nè freddo. E allora?
"Se lo scopre mio padre" continuò il bambino per nulla in soggezione "di sicuro mi sgrida, perchè dice che sono troppo piccolo per fare certi sforzi. Questa bicicletta è sua, ma lui non la usa più e così mi permette di prenderla. Dice la mamma che una volta ne era così geloso che guai anche solo toccargliela. Poi però gli è passata la voglia e adesso ha messo su pancia".
Il vecchio pensò che quel giorno non avrebbe pescato neppure per mangiare. Ma l'incontro lo divertiva e così gli fece cenno di avvicinarsi a un grosso masso sul ciglio della strada e sbuffando ci si sedette sopra.
"Perchè mi racconti queste cose? Che cosa vuoi?".
Il bambino lo guardò e per un istante ebbe paura. Abbassò lo sguardo e poi lo rialzò. Aveva gli occhi scuri e curiosi, i capelli biondi e ribelli. Il timbro di voce era ancora sottile, ma deciso. Prese il sorriso del vecchio come un invito a continuare. Si scosse e ricominciò a parlare.
"Lo sai che ad andare sulla montagna c'è un pezzo di strada così ripido che l'ombra ti resta indietro?".
Il vecchio capì cosa volesse dire. Immaginò la scena e fece cenno di si col capo, ricordando quella rampa subito fuori dal paese su cui i motorini dei turisti spesso si impuntavano e non andavano più avanti. Allora lo guardò ammirato e gli disse che se davvero era andato fin lassù senza scendere, significava che era stato proprio bravo.

Vide il bambino gonfiarsi d'orgoglio e si chiese ancora una volta perchè lo avesse raccontato proprio a lui. Di solito i bambini lo evitavano e forse un pò avevano paura, ma questo sembrava diverso. E mentre pensava e sorrideva, il bambino prese fiato e continuò a parlare.
"Dove abito io" disse "non è così".
"Così come?"
"Tranquillo. C'è un gran baccano là in città. Le macchine. Gli aerei. I giornali. La gente. La gente è cattiva, lo sai? Si corre sempre, non si parla più. Qui è meglio. Si può pescare, si può andare in bici, ma si può stare anche tutto il giorno a guardare il mare. Da grande vengo a viverci".

Il vecchio lo fissò e nei suoi occhi passò il film di una vita. Cercò di non guardarsi troppo dentro. Si passò la canna da una mano all'altra, poi sollevò lo sguardo verso l'orizzonte e in lontananza vide la sagoma di una barchetta che arrancava contro la corrente in direzione del porto. Sorrise, ma il bambino vide l'ombra nei suoi occhi.
"Tu chi sei?"
"Sono un pescatore" gli disse, "un pover'uomo. Non dovresti neanche star qui a parlare con me. Cosa ne sai se sono una brava persona?"
Il bambino non battè ciglio e continuò a guardarlo fisso in volto, poi d'improvviso la voce prese a tremargli e allora strinse più forte sul manubrio.
"Tu mi somigli"
Il vecchio smise di sorridere. Si innervosì, ma cercò di non darlo a vedere.
"Somiglio a chi? Non sai neanche chi sono. Somiglio a chi?"
Il bambino rimase per un secondo in silenzio, incerto se andare avanti o fermarsi. Ma ormai c'era arrivato e tanto valeva continuare.
"Somigli a Pantani, sai quel campione di ciclismo... Ho la sua foto in camera mia e tu gli somigli. Mio padre mi ha chiamato Marco in suo onore. Ti ho visto l'altra settimana, ti avevo già visto l'anno scorso. Volevo dirtelo, tu gli somogli..."
Il vecchio tacque e il suo silenzio parve lungo come il tempo, poi si avvicinò e con il dito gli fece cenno di avvicinarsi a sua volta. Aveva tolto il cappello e lo stringeva tra le mani. I pochi capelli erano in balia del vento, ma d'improvviso gli occhi si erano messi a scintillare. Chinò il capo, guardò la polvere sulla punta delle scarpe, poi gli poggiò una mano sulla spalluccia magra, lo guardò fisso e il bambino ebbe un sussulto.
Strinse con la mano il manubrio e si chinò ancora.
"Pantani" bisbigliò il vecchio, "lo so bene chi è Pantani. Ma è morto tanto tempo fa. Quanti anni hai, undici?"
"Tredici", rispose orgoglioso, "tredici già compiuti".
"Undici, tredici, fa lo stesso. Non eri neanche nato. Se avessi letto i giornali, sapresti che è morto. Buttala via quella foto, Pantani è morto tanto tempo fa. Io sono Marco, sono il vecchio pirata pelato di cui non importa niente a nessuno".
Il bambino lo fissò con gli occhi pieni di lacrime. Provò a parlare ma gli uscì un mezzo singhiozzo. Lo guardò fisso con i brividi nelle gambe. Il vecchio si alzò, tirò un sospiro e gli poggiò la mano sul casco. Poi gliela battè sulla spalla in un gesto di affetto e complicità. "Vattene adesso" gli disse con dolcezza, "devo andare a pescare".

Il bambino lo guardò dal basso e gli sembrò altissimo, con il sole alle spalle che rendeva la sagoma nera e ancora più potente. "Sei tu".

Il vecchio rimase impassibile. Il bambino lo abbracciò. Avrebbe voluto chiedergli, sapere, restare lì in eterno, ma gli disse solo ciao. Tirò su col naso, poi salì in sella. "Vattene" ripetè il vecchio.

Il bambino fece cenno di si e non si curò più di nascondere le lacrime. Lo abbracciò di slancio e poi veloce si ritrasse. Voltò la bici e prese la via del paese. Il vecchio lo vide allontanarsi con le gambette magre che spingevano poco convinte e ricominciò a camminare. Aveva rimesso il cappello in testa e la canna sulla spalla. Il bimbo non vide che anche il vecchio piangeva. Pantani era morto, Marco era ancora vivo. Il bimbo cacciò un urlo che fece scappare i gabbiani. Smise di piangere, iniziò a ridere e a spingere forte sui pedali. Il sole era ormai alto, il vento si era posato. Si voltò ancora. Quella fu l'ultima volta che lo vide.

Era mio figlio
Tonina Pantani ed Enzo Vicennati

2 commenti:

Manuel (Ciclismo PST) ha detto...

...le rose e grandi le storie del ciclismo.
Bravo Cassani!

Nicola Dalto ha detto...

Interessante questo blog!