In poche parole ho sognato la madre di Lance Armstrong che, durante il Giro, veniva spesso fotografata e intervistata sorridente per i successi del figlio.
Sarà mica un sogno premonitore? Mah…
Buon anno.
La foto qui sopra ritrae Mario Cipollini in una delle sue tante vittorie al Giro. Correva l’anno 1997 e il Giro d’Italia partiva proprio da dove partirà quello del Centenario. Undici anni fa però non era prevista una cronosquadre bensì un circuito (il circuito del Lido) da percorrere più volte per un totale di 128 km pianeggianti. Li ricordate gli altri due ciclisti che appaiono in foto dietro all’esultante Re Leone? Quello vestito di azzurro è un certo Nicola Minali (2 vittorie al Giro d’Italia), grande velocista degli anni novanta, capace di imporsi anche al Tour de France (3 tappe) e alla Vuelta a Espana (7 tappe), l’altro, vestito di giallo, è invece Endrio Leoni (4 vittorie al Giro d’Italia), un altro rivale di Cipollini di quegli anni ruggenti.
Per la Saeco il Giro iniziò bene e finì altrettanto bene. Di quell’edizione 1997 vale la pena fare un breve riassunto dei fatti più salienti...
Cipollini vinse le prime due volate ma dovette cedere la maglia rosa al russo Pavel Tonkov già alla terza tappa, la cronoscalata di San Marino. Il russo, vincitore del Giro l’anno precedente, si dimostrò in quei primi giorni il più brillante, vincendo anche sul Terminillo contro Leblanc, Pantani e Gotti.
L’ottava tappa fu scossa dall’ennesima caduta dello sfortunatissimo Marco Pantani giù dal Chiunzi. Il pirata si ritirò e la corsa proseguì con il russo Pavel Tonkov sempre in rosa. La quattordicesima tappa, quella con l’arrivo in salita a Cervinia, vide l’escalation di Ivan Gotti, fino ad ora nascosto nel gruppo, il capitano della Saeco attaccò e staccò Tonkov guadagnando 1’46” e rubandogli la maglia rosa. La sfida fra i due continuò anche nei giorni successivi, Tonkov guadagnò secondi nella cronometro di Cavalese ma in seguito alla caduta nella tappa di Falzes dovette piegarsi al ritmo di Ivan Gotti che aumentò di oltre un minuto il suo vantaggio in classifica mantenendolo sia nella ventesima tappa, quella del Tonale, sia nella tappa del Mortirolo dove la maglia rosa lasciò la vittoria al lottatore cosacco. A Milano doppia festa per la Saeco, maglia rosa a Gotti e maglia ciclamino a Mario Cipollini, autore di ben cinque successi in volata.
Arrivederci ad una nuova storia. questa immagine può ritenersi il riassunto del duello tra Pavel Tonkov e Ivan Gotti
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Questo sarà il finale della quarta tappa del Giro d'Italia. Prima frazione in salita, non durissima, ma neanche facile. La prima salita è Croce d'Aune da Pedavena. Una salita che appare nei primi due chilometri dura ma che ben presto spiana immergendosi nel tratto boschivo e dai lunghi rettilinei che porteranno dopo otto chilometri in cima al passo che misura poco più di mille m.
Si staccheranno in pochi, al limite servirà come trampolino per chi vuole scappare dal gruppo e provare ad anticipare i big prima dell'arrivo. Improbabile come ipotesi. Fatto il passo Croce d'Aune discesa e falsopiano di 16 km che porterà ai piedi del Passo Rolle. C'è da dire che, come pendenze, il Passo Rolle è più facile di Croce d'Aune, si, ma più lungo. Solo questo fa la differenza. Croce d'Aune ne misura 8, il Rolle 20. Ma l'arrivo è collocato a San Martino di Castrozza è quindi il Rolle si riduce a 13 km con pendenze mai sopra il 7%. Che tappa sarà quindi? Chi si aspetta grandi distacchi si sbaglia di grosso. E' più probabile un arrivo allo sprint con un gruppo di almeno sei ciclisti. Gli staccati non perderanno molto. Sarà quindi una tappa dolomitica in miniatura, non più difficile di arrivi quali Montevergine, Monte Sirino o affini, tanto per fare qualche esempio di salite della prima settimana. Favorito? Dipende da come sarà affrontata la salita. Cunego. Difficilmente perderà contatto e più facilmente potrà vincere un eventuale sprint. Armstrong e Basso si guarderanno, è ancora troppo presto per fare fuochi e fulmini su una salita che, come già detto, non consentirà alti distacchi. Non ci resta che aspettare poco più di una settimana per sapere il resto.
Non è uguale per tutti perchè le squalifiche antidoping sono a dir poco grottesche, da sempre. Emanuele Sella è stato squalificato un anno in seguito alla positività all'Epo-Cera, la stessa di Riccò e Kohl. Ma Sella che ha collaborato si è preso un solo anno di squalifica, mentre Kohl e Riccò se ne sono presi due perchè non ritenuti del tutto collaborativi.
Secondo me questo non è giusto, sono distinzioni troppo grandi... Al limite, per chi collabora sul serio, si scalano un 5-6 mesi, non 12.
Ho trovato questo video su youtube. Si parla del mondo professionistico e del doping. Chi parla oggi non c'è più. Si chiamava Valentino Fois e aveva solo 34 anni.
Copio e incollo anche un'intervista molto interessante a Valentino Fois risalente a un anno fa...
BERGAMO, 14 settembre 2007 - "E’ anche per colpa del ciclismo se sono ridotto così, ma senza ciclismo non so stare". Valentino Fois è seduto al tavolino di un bar nel centro di Bergamo. Pochi metri più in là c’è la redazione locale del "Giorno" nella quale lunedì sera l’ex corridore bergamasco si è introdotto per rubare due vecchi computer portatili. Una bravata che gli è costata una condanna a 100 giorni di reclusione, tramutati in una pena pecuniaria di 4 mila euro. Valentino era un talento e come tanti talenti si è fatto tentare dal diavolo doping, finendo poi schiacciato dagli "effetti collaterali". A vederlo ora, sembra il Fois di una decina di anni fa. Forse un po’ smagrito, ma elegantissimo. Giacca e cravatta, pantalone gessato, la faccia bella da sciupafemmine. Ma basta guardargli il sorriso forzato, gli occhi velati di tristezza, per capire che dentro quel vestito firmato c’è un ragazzo di quasi 34 anni che lotta con una sofferenza che lo sta devastando.
Fois, partiamo dalla brutta storia del tentato furto.
"Lunedì sono tornato a bere dopo tanto tempo e il cocktail con gli ansiolitici mi ha mandato in confusione. Sono entrato nell’ufficio, mi sono nascosto in bagno, poi ho cercato di scappare con i computer. E’ stata una cazzata, ma non ho fatto un’ora di carcere e ho trovato un giudice comprensivo".
Lei è malato?
"Ho problemi di depressione e ansia, sono in cura in un centro tossicologico di Parma".
Da che cosa sono originati i suoi problemi?
"Dalla squalifica di tre anni per doping presa nel 2002, quando correvo nella Mercatone Uno con Pantani".
Nel ’98 era già stato fermato per un anno per essere stato trovato positivo al Giro di Svizzera e al Giro di Polonia. Che sostanze prendeva?
"Prendevo, anzi, mi davano il DHEA, che serve a stimolare la produzione di testosterone endogeno. Eppoi... E’ inutile fare l’elenco. Prendevo quello che prendevano tutti. E se qualcuno nega, è bugiardo. Dovevamo scendere a compromessi".
Eppure non ne aveva bisogno. E’ diventato professionista nel ’96 ed era considerato un ottimo scalatore.
"Avevo appena vinto il tricolore dilettanti e dominato il Giro della Valle d’Aosta. Avevo fatto grandi cose anche nella Mtb. Sono arrivato al professionismo pulito. Pulitissimo. Vincevo perché ero forte. Ero, e mi sentivo, il numero uno al mondo".
Allora perché ha ceduto alla tentazione del doping?
"Il mondo del ciclismo, fino allo scandalo Festina del ’98, era una schifezza. Gestivano tutto medici e direttori sportivi. Poi le cose sono un po’ migliorate, ma non metterei la mano sul fuoco su alcun corridore di oggi. Chi vince, una settimana dopo è già nella polvere".
C’è qualcuno del ciclismo che l’ha aiutata?
"Soltanto uno. E’ un mondo falso e ipocrita. No, preferisco restare con i miei problemi piuttosto che avere a che fare con persone finte. Ho la mia famiglia e un amico vero, Pavel Tonkov, vincitore del Giro d’Italia ’96. Abito da lui a Madrid per sei mesi l’anno, fa il procuratore e forse mi aiuterà a tornare a correre. Altrimenti lavorerò nell’albergo che aprirà a Cordoba".
E lei vorrebbe tornare in quel ciclismo che considera causa dei suoi problemi?
"Non ho mai smesso di allenarmi, 3-4 ore ogni giorno. Durante la squalifica ho partecipato anche ad alcune Granfondo, vincendone 14 su 16, poi mi hanno fatto sentire indesiderato anche lì. Mi mancano le corse".
Ha preso altre droghe?
"Ho provato la cocaina. Ma non sono tossicodipendente. Sono soltanto un ragazzo debole".
Attualmente che cosa fa?
"Non lavoro. Ma studio: filosofia, psicologia, so tutto delle religioni orientali".
Li sa i pettegolezzi che girano sul suo conto?
"Che sono stato l’amante di Inzaghi, che rifornivo di coca Vieri. Balle. Conoscevo Pippo e Bobo perché giocavano nell’Atalanta e frequentavamo gli stessi locali. Stop. Non li vedo né sento da anni".
Non ha paura di fare la stessa fine di Pantani?
"Ho vissuto da vicino il dramma di Marco e posso dire di non aver mai raggiunto il suo livello di disperazione".
A un ragazzino che comincia a correre che consigli darebbe?
"Di ragionare con la propria testa, senza farsi travolgere dal sistema. Io mi rimprovero di non aver dato il meglio nel mio lavoro, mi piacerebbe poter recuperare".
Ancora addio Valentino.