venerdì 5 marzo 2010

Parigi - Tours 2001

Parlando e ricordando anni passati…

E’ una di quelle domeniche di fine estate apparentemente noiose, anzi, l’estate se ben ricordo era già finita da almeno due settimane. Parigi-Tours, penultima prova di Coppa del Mondo del calendario Uci. La più sterile delle dieci classiche, piatta come una qualsiasi frazione per velocisti, ma lunga e per questo da non sottovalutare.
Succede che due briganti del gruppo, Jacky Durand il primo, Richard Virenque il secondo, s’inventano una fuga dopo neanche venti chilometri dalla partenza.

Durand lo conosciamo bene, è uno di quelli che al Tour è perennemente al largo, per quanto riguarda Richard, beh, che dire.
Virenque è uno di quei ciclisti molto lontani dall’attuale mentalità ciclistica, è un potenziale favorito della Grand Boucle che ha il coraggio di promuovere fughe apparentemente senza senso ma che fanno solo bene allo spettacolo perché di quello, prima di tutto, ha bisogno il pubblico.
Virenque non sarà mai un fuoriclasse, nulla ha del rivale Pantani, né lo scatto esplosivo né la continuità successiva ad esso. Eppure è dotato di grandissimo fondo e fantasia, caratteristiche indispensabili che lo hanno portato a raccogliere non pochi successi personali.
Lo scalatore francese cade in disgrazia al Tour del 1998, tramonta per la Francia, senza ancora saperlo, la possibilità di avere un corridore da alte classifiche. Ma a differenza di altri, Virenque torna a livelli discreti sia nel 99 che nel 2000, prima di ammettere di essersi dopato e ripiombare nell’abisso.
La sua ultima parte di carriera riprende timidamente nell’Estate del 2001, alla Domo, un team di medio livello che gli da l’ultima opportunità per un riscatto.

La fuga continua tranquilla in quella Domenica autunnale, il vantaggio dei due fuggitivi raggiunge i sette minuti, non pochi ma nemmeno chissà quanti se valutiamo la distanza chilometrica.
Accendo la tv e mi sincronizzo su Raitre. Si, all’epoca guardavo ancora il ciclismo alla televisione. Fuga di Virenque e Durand, sgrano gli occhi incredulo, eppure è così…
Il vantaggio non è più elevato, si sta maciullando pian piano grazie anche ad un vento contrario che non vuole dare soddisfazione alcuna a quei due “evasi”.
Le côte sono brevi e pedalabili, ma è proprio sull’ultimo cavalcavia che viene racchiuso il momento chiave dell’esito finale. Durand da buon non scalatore si impianta di botto, mentre il compagno di fuga, in barba alla fatica, al vento contrario e alla moltitudine di ore nelle gambe, rilancia l’andatura: è solo.
Il gruppo è come un aspirapolvere, sa per certo che quelli lì stanno messi peggio e che possono solo perdere secondi a palate. Così è per Durand che non ha saputo rilanciare sulla facile côte, ma il gruppo ha sbagliato i conti sull’altro, dimenticandosi per un attimo che una sua dote primaria è la resistenza allo sforzo prolungato.
Sta di fatto che si arriva all’ultimo chilometro con Virenque in fuga per pochi secondi, chi si intende di ciclismo sa che un fuggitivo tutto solo può perdere tempi spropositati rispetto ad un gruppo di ciclisti intento a preparare la volata finale. Ma a volte, il più debole prevarica sul più forte e il 7 ottobre del 2001 sancisce il riscatto della pecora nera sul “branco”. Richard Virenque ritorna ad alzare l’indice al cielo (e per fortuna che non era il medio), lasciandosi ad un urlo liberatorio che risuona quanto basta nelle orecchie di chi l’ha infangato per vari anni.
Sconfitti i favoriti Freire e Zabel, quest’ultimo amaro per la coppa persa ai danni del tulipano Erik Dekker che ringrazia quella freccia un po’ bizzarra (così veniva definito da BS) capace di imprevedibili quanto spettacolari antiche gesta.


1 commento:

Manuel (Ciclismo PST) ha detto...

Chi dimentica la lingua penzolante fino al manubrio di Virenque, mentre dietro i velocisti continuavano a farsi belli aspettando la loro foto di vincenti sulla linea d'arrivo?